Attualità

ott82015

Maxitassa su risarcimenti ex specializzandi, Agenzia entrate fa marcia indietro

tags: Medicina
Schiarita per gli ex specializzandi che hanno ricorso contro lo stato per le borse non percepite tra il 1983 e il 1991, e sono stati risarciti. La mega imposta di registro a carico dei vincitori dei contenziosi non sarà pari per ognuno di loro al complesso delle imposte dovute sul risarcimento. L'Agenzia delle Entrate sta notificando a ciascun interessato un provvedimento parziale dell'avviso di liquidazione, ogni medico dovrà pagare in pratica circa un 1,5% dei 40 mila euro ottenuti. Un sospiro di sollievo, perché la richiesta "pazza", dopo i patrocinati dal Codacons interessati alla causa del 2012 al Tribunale di Roma, bombardati ognuno con una richiesta da 370 mila euro, stava arrivando ad altri ricorrenti risarciti. «I medici non devono lasciarsi intimorire - dice il presidente Consulcesi Massimo Tortorella - in base alla normativa vigente (art.159 testo unico spese di giustizia art. D.P.R. 30-05-2002, n. 115) e alla costante giurisprudenza della Cassazione, qualora il giudice abbia disposto la compensazione delle spese, l'imposta di registro che l'Agenzia delle Entrate può richiedere ad ogni medico è calcolata solo sulla somma liquidata in suo favore e con un importo pari al massimo dell'1,5% di quanto ricevuto. Non esiste alcun caso "cartelle pazze". Qualcuno ha forse voluto crearlo ad arte per ottenere una visibilità che altrimenti non avrebbe avuto». Antonio Puliatti, avvocato del Sindacato Medici Italiani (interessati anche ricorrenti da esso patrocinati) prova a spiegare come si possa essere determinato l'equivoco. «L'Agenzia delle Entrate di Roma- dice Puliatti - ha provveduto alla tassazione di diverse sentenze che, su indicazione del Tribunale o della Corte d'Appello, risultano da registrare "a pagamento" e non "a debito" dello Stato; ciò si verifica quando, nonostante la condanna al risarcimento dei danni, le spese di giustizia vengono compensate». Cartelle pazze? In realtà l'origine è più complessa: le norme sulla tassa di registro non disciplinano perfettamente il caso in cui tanti ricorrenti in parti diverse d'Italia si trovino ad aver vinto la stessa causa per la stessa fattispecie. Spiega Puliatti: «Ove vi sia compensazione delle spese, la tassa di registro prevista dai dpr 131/1986 e 115/2002 è dovuta in solido da tutte le parti in ragione del 3% dell'importo liquidato in sentenza». Formalmente l'Agenzia delle Entrate può richiedere dette somme indistintamente alle parti. «Quando le parti sono poche (ad esempio nelle cause ereditarie) e tutte legale tra loro da vincoli di parentela o conoscenza, la risoluzione è semplice. Diverso se le sentenze riguardano parti che addirittura non si conoscono e sono sparse sull'intero territorio nazionale, come nel caso di specie. Grazie all'ampia collaborazione fornita da Presidenza del Consiglio dei Ministri, Tribunale di Roma ed Agenzia delle Entrate, siamo riusciti poco tempo addietro a risolvere un problema analogo in cui la sentenza era stata registrata a pagamento benché fosse prevista la condanna alle spese della Presidenza del Consiglio. Per quanto paradossale, la vicenda trova fondamento nella normativa interna all'Amministrazione giudiziaria che non tiene conto di simili ipotesi». Puliatti aggiunge che «anche in sentenze in cui vi è condanna dello Stato sempre più spesso è disposta la compensazione delle spese; ciò è legato probabilmente al fatto che in primo grado vi è stata la soccombenza degli attori e solo in appello vi è stata la condanna dello Stato, dopo il mutato orientamento giurisprudenziale». Il consiglio da dare a chi si veda recapitare avvisi di liquidazione di importi esorbitanti è di promuovere ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria entro 60 giorni. Ma ora una soluzione è possibile. Puliatti, prima della nota delle Entrate, ipotizzava due uscite: «O si ad una registrazione " a debito" delle sentenze visto che vi è comunque condanna dello Stato al pagamento, o si procede ad inviare degli avvisi "pro quota" ai singoli interessati così da consentire a ciascuno di pagare la quota che lo riguarda direttamente ed in proporzione alle somme effettivamente percepite». A quanto pare è stata scelta la seconda soluzione.

Mauro Miserendino (fonte: Doctor33, 8 ottobre 2015)


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