Attualità

giu192015

Caso San Raffaele, specializzandi al posto degli strutturati? Sigm: Manca una normativa chiara

tags: Medicina
«Il problema degli specializzandi impiegati in ospedale al posto dei medici strutturati in spregio alla legge andrebbe risolto con una normativa chiara che eviti di arrivare alla lettera anonima. Non penso a una legge, ingesserebbe le singole situazioni. Ci vogliono piuttosto protocolli tra Ospedale e Università come quello di Pavia che apre a procedure trasparenti e alla rintracciabilità delle figure coinvolte nell'organizzazione dei servizi». Andrea Silenzi dell'Associazione Italiana giovani medici Sigm commenta così l'apertura di un fascicolo della Procura di Milano a seguito di una lettera spedita 2 anni e mezzo fa dal Comitato di rappresentanza specializzandi dell'Università Vita Salute dell'Ospedale San Raffaele a Carlo Lucchina, allora numero due della sanità regionale lombarda, che la inoltrò all'Asl Milano per le verifiche. Da quella denuncia scaturisce l'avviso di garanzia a sette primari e alla Fondazione Monte Tabor per violazione legge 231 sulla responsabilità degli enti. Per l'ordinamento italiano, in nessun caso l'opera dello specializzando è sostitutiva del personale di ruolo, eppure i giovani medici a Milano hanno denunciato di essere costretti ad operare in solitudine, anche chirurgicamente: oltre 2 mila prestazioni che sarebbero state solo firmate dal medico strutturato di turno, presente (se c'era) per una minima parte dell'intervento. Il presunto reato sarebbe provato dal fatto che, controllando le cartelle cliniche, si osserverebbe come il medico strutturato compaia in più interventi chirurgici contemporanei. «La normativa afferma che lo specializzando va supervisionato da un tutor e c'è una proporzione aurea di un tutor strutturato ogni tre specializzandi cui però l'autonomia universitaria consente di derogare, in genere per motivi d'organico», spiega Silenzi. «In moltissimi ospedali universitari - non solo al San Raffaele - non si innescano dinamiche virtuose in base alle quali il direttore sanitario dell'ospedale è a conoscenza di quanto avviene nelle strutture a gestione universitaria. D'altra parte occorre stare attenti a non paralizzare l'attività di queste strutture e a non tornare al giovane medico cui non è letteralmente consentito di svolgere attività pratica».
Per Silenzi l'accordo concluso 5 anni fa tra Università di Pavia e Policlinico San Matteo andrebbe esportato altrove: «Specialità per specialità, il protocollo definisce l'autonomia dello specializzando, quali attività vanno sorvegliate, chi è il tutor che le sorveglia e come si passa da lui prima di ogni intervento, come il tutor può essere rintracciato dal paziente, e quali competenze ha la direzione sanitaria. Sono regole che ben potrebbero attagliarsi pure a ospedali periferici oggi fuori dalla rete formativa e tirati in ballo dalla discussione sulla valorizzazione delle figure del Ssn; se già oggi ci sono problemi di comunicazione nelle grandi strutture universitarie, è arduo prevedere cosa accadrebbe se non si concordano percorsi didattico-professionalizzanti condivisi e organizzati».

Mauro Miserendino

(Fonte: Doctor33, 18 giugno 2015)


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